Lasciata l'isola di Lemno alle spalle gli Argonauti proseguono il loro glorioso viaggio lasciandosi Imbro a tribordo.
Giasone e compagni sapevano bene che la costa vicino la città di Troia era piena d'insidie, infatti re Laomedonte controllava l'ingresso all'Ellesponto e non permetteva a nessuna nave greca di accedervi. Gli Argonauti riuscirono ad eludere le sentinelle poste di guardia passando il famigerato stretto nottetempo, poi costeggiarono la Tracia e raggiunsero il Mar di Marmara sani e salvi.
Giunti al territorio dei Dolioni gli intrepidi eroi sbarcarono all'imboccatura dell'accidentata penisola Arto, su cui domina il minaccioso monte Dindimo, dove il re Cizico aveva ucciso il famoso leone sacro.
Subito vennero accolti con grandi feste da re Cizico, figlio di Eneo che a sua volta era stato un antico alleato di Eracle.
Si stava infatti svolgendo il banchetto nuziale per il matrimonio del giovane Cizico con la bella Clita di Percote, della vicina Frigia, vennero tutti invitati a partecipare e ci fu una grande festa con balli canti, cibo e vino a volontà.
Durante la veglia notturna, però, gli uomini di guardia sull'Argo vennero attaccati da un gruppo di giganti a sei braccia, che provenivano dall'entroterra della penisola, fortunatamente l'attacco fu respinto senza grandi difficoltà. Per la buona sorte avuta nel combattimento gli Argonauti donarono alla dea Atena la propria ancora che lasciarono nel tempio a lei dedicato. Presero a bordo un'ancora ancora più pesante e salparono con i cordiali addii del re Cizico e la sua corte.
L'Argo si diresse verso il Bosforo ma ben presto un forte vento da Nord-Est cominciò a soffiare fortissimo rendendo quasi impossibile navigare nella giusta direzione. Alla fine Tifide convinse tutti a fare ritorno verso re Cizico ma l'Argo venne spinto dalla tempesta completamente fuori rotta, costringendo gli Argonauti ad approdare su una costa sconosciuta in piena notte.
Completamente avvolti dalle tenebre gli Argonauti vennero assaliti da guerrieri ben armati e abili nel combattimento, si accese un violento scontro in cui era perfino difficile capire dove si trovasse l'avversario. Alla fine furono Giasone e compagni ad avere la meglio, l'oscuro nemico venne respinto e parecchi corpi giacevano a terra senza vita.
Finita la concitazione dello scontro Giasone si accorse che quella terra misteriosa era in realtà la costa orientale della penisola di Arto, Giasone fu colto da disperazione quando scoprì che fra i cadaveri dei nemici vi era anche quello del nobile re Cizico.
Era accaduto che a causa delle fitte tenebre di quella notte senza luna le vedette costiere di Arto avevano scambiato l'Argo per una nave di pirati, lanciato l'allarme si era radunato l'esercito guidato dal re in persona sulla spiaggia, pronti per tendere un'imboscata a quelli che credevano predoni del mare e nessuno si accorse in tempo che non si trattava di nemici.
Venne portata la triste notizia alla giovane sposa di re Cizico, che appena venne informata si impiccò per porre fine all'immenso dolore per la perdita dell'amato. Le ninfe del bosco piansero amaramente per la tragedia che era accaduta ma soprattutto per la morte di Clita, le loro lacrime formarono una fontana che da allora porta il nome della giovane principessa Clita, morta per amore a causa di un infausto destino.
In realtà non era stato il Fato a volere la morte di re Cizico, noi sappiamo che Rea non gli aveva mai perdonato di aver ucciso il sacro leone sul monte Dindimo, fu così che architettò la sua morte, che non fu quindi accidentale affatto, la tempesta, l'equivoco dei pirati e lo scontro fra Giasone e Cizico faceva tutto parte del piano architettato dalla sua astuta mente.
Mopso, che sapeva interpretare il linguaggio degli uccelli, notò che un alcione svolazzò sopra il capo di Giasone e poi si andò a posare sulla prua dell'Argo, da questi segni capì che Rea era irritata da qualcosa e che andava placata al più presto.
Rea era arrabbiata anche con gli Argonauti perché avevano osato massacrare i Giganti a sei braccia, che sono suoi fratelli.
Venne quindi deciso di erigere un simulacro alla dea, fu Argo a scolpirlo in un antico ceppo di vigna, tutti insieme, poi, danzarono in assetto di guerra sulla vetta del monte Dindimo.
Rea fu finalmente soddisfatta e ricompensò i nostri eroi facendo sgorgare una fonte dalle rocce, che da allora si chiamò "sorgente di Giasone", subito si alzò una lieve brezza e l'Argo poté salpare con il vento in poppa senz'altri indugi.
I Dolioni, invece, prolungarono il lutto per un mese intero, durante il quale non accesero fuochi e si nutrirono di cibi crudi.
Episodi precedenti:
I parte La riunione degli Argonauti
II parte L'isola di Lemno e la ribellione delle donne puzzolenti
III parteL'Argo perde la rotta
IV parte La scomparsa del giovane Ila
V parte Re Amico sfida Polideuce in un incotro di pugilato
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